Tre recenti sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea chiariscono alcuni importanti aspetti che riguardano i diritti del minore straniero che arriva solo in uno Stato membro Ue e il diritto all’unità familiare.
La domanda di protezione internazionale presentata da un minore in uno Stato membro Ue non può essere rigettata con la motivazione che i genitori hanno ottenuto protezione in un altro Stato membro.
Il comunicato stampa n.135/22 del 1 agosto ci informa della sentenza con la quale la Corte chiarisce che non è legittimo respingere come inammissibile una domanda di protezione internazionale presentata da un minore per il fatto che i suoi genitori hanno già ottenuto tale protezione in un altro Stato membro.
Tutto nasce dal caso di una minorenne russa che ha visto respinta la sua domanda di protezione internazionale in Germania con la motivazione che i suoi genitori avessero già ottenuto protezione in Polonia. La decisione impugnata davanti ad un Tribunale tedesco è stata poi chiarita dalla Corte di Giustizia Ue con la causa C-720/20.
La Corte Ue precisa che, in base al Regolamento Dublino III, in una situazione in cui i membri della famiglia di un richiedente asilo minore godono già di protezione internazionale in un altro Stato membro, quest’ultimo non deve essere sempre ritenuto responsabile dell’esame della domanda d’asilo del minore.
Non è quindi la protezione già accordata alla famiglia in altro Stato Ue che può esimere lo Stato cui è presentata la domanda del minore di prenderla in considerazione.
Viene, quindi, respinto il dubbio del giudice tedesco secondo cui lo Stato membro competente per la domanda di protezione di un minore sia necessariamente quello in cui si trova la famiglia. Ciò vale solo nel caso – spiega la Corte Ue – in cui la volontà di richiedere la protezione internazionale al medesimo Stato membro che l’ha già accordata ai suoi genitori emerga da esplicita domanda scritta.
Viene riconfermato il diritto al ricongiungimento familiare di un minore che nelle more della procedura raggiunge la maggiore età.
La Corte si è pronunciata su tre cause riunite (C-273/20, C-355/20 e C-279/20) due delle quali riguardavano richieste di ricongiungimento familiare di genitori siriani con i figli minorenni che avevano ottenuto lo status di rifugiati in Germania (C-273/20 e C-355/20) e una riguardava la richiesta di ricongiungimento familiare presentata da un figlio minore, anche lui nazionalità siriana, con il padre rifugiato in Germania (C-279/20). Tutte e tre le domande sono state respinte con la motivazione che i figli erano nel frattempo diventati maggiorenni.
Per la Corte Ue il rifiuto di rilasciare un visto ai fini del ricongiungimento familiare al genitore di un rifugiato minorenne – divenuto maggiorenne durante la procedura – è contrario al diritto Ue. Precisa, inoltre, come lo stesso principio valga anche nel caso in cui la domanda di ricongiungimento sia stata presentata dal figlio minorenne, e che nel frattempo abbia raggiunto la maggiore età, con un genitore rifugiato.
La Corte ritiene che, in caso di ricongiungimento familiare dei genitori con un rifugiato minorenne non accompagnato, la data della decisione sulla domanda di ingresso e soggiorno a fini di ricongiungimento familiare presentata dai genitori del rifugiato non sia decisiva per valutare il suo status di minore. In altre parole, non è necessario che la condizione di minore età del figlio al quale intendono ricongiungersi sia riscontrata anche al momento della decisione per il rilascio del visto. E aggiunge, in particolare per ciò che riguarda il caso della sentenza C-279/20, che la data da prendere in considerazione per determinare se il figlio di un soggiornante a cui è stato concesso lo status di rifugiato è minorenne, in una situazione in cui tale figlio è diventato maggiorenne prima che lo status di rifugiato fosse concesso al genitore soggiornante e prima che sia stata presentata la domanda di ricongiungimento familiare, è la data in cui il genitore ha presentato la domanda di asilo. Tuttavia, tale domanda di ricongiungimento familiare deve essere presentata entro in un tempo ragionevole, vale a dire entro tre mesi dalla data in cui è stato concesso lo status di rifugiato al genitore ricongiunto.
Il diritto di un minore di ricorrere contro il rifiuto di presa in carico da parte di uno Stato membro Ue nel quale risiede un parente.
Un altro caso chiarito dalla Corte è quello di un cittadino egiziano che nel 2019 presenta domanda di protezione internazionale in Grecia quando era ancora minorenne. Nella sua domanda esprimeva il desiderio di ricongiungersi con lo zio, regolarmente soggiornante nei Paesi Bassi, pertanto le autorità greche chiedono la presa in carico del minore alle autorità olandesi. Queste ultime hanno respinto la richiesta in quanto non era stato possibile stabilire l’identità del minore e il presunto legame di parentela con lo zio. La domanda di riesame viene respinta e i due presentano anche un reclamo contro il rifiuto di presa in carico che il Segretario di Stato olandese respinge in quanto manifestamente irricevibile con il motivo che il Regolamento Dublino III non prevede la possibilità per i richiedenti protezione internazionale di impugnare tale decisione di rigetto.
Su questo caso la Corte Ue è intervenuta con la sentenza C- 19/21 (comunicato stampa n. 139/22) affermando che in materia di protezione internazionale va riconosciuto il diritto del minore non accompagnato di presentare ricorso contro il rifiuto della presa in carico da parte dello Stato membro in cui risiede un parente. La Corte Ue precisa che quando si tratta di minori soli il regolamento di Dublino va considerato in combinato con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.