Lo scorso sabato 16 novembre il Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Mario Morcone, è intervenuto nell’ambito dell’incontro “Immigrazione è ora di voltare pagina. La gestione europea dei flussi: verso la revisione del trattato Dublino” organizzato dall’Istituto Eurispes e dal Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo a Napoli.
Riportiamo di seguito il suo intervento che rispecchia una visione d’insieme sullo stato attuale delle politiche, soprattutto italiane, in tema di immigrazione e asilo e le proposte per un sistema più equo ed efficace.
Grazie a Franco Roberti per aver costruito quest’occasione di confronto così autorevole e averci offerto l’opportunità di stare assieme questa mattina su temi strategici che riguardano non solo il nostro presente ma soprattutto il nostro futuro.
Consentitemi di dare subito un flash sul recinto nel quale intendo muovermi e sul presupposto di fondo che ispira la mia riflessione riprendendo in maniera estremamente sintetica un breve passaggio di una relazione di Umberto Eco. Era il 2013, governo Monti, e in un convegno a Perugia sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione Umberto Eco ebbe a dire:
“il problema è che in un periodo abbastanza breve non computabile in secoli come era avvenuto per i popoli germanici verso il Mediterraneo, l’Europa sarà un continente multirazziale o se preferite, colorito.
Se vi piace sarà così e se non vi piace, sarà così lo stesso.”
È questo il punto a mio avviso da cui partire chiarendo che il tema degli sbarchi o degli arrivi via terra attraverso i Balcani nel nostro Paese, non ha alcuna possibilità, diversamente da come alcuni cercano di far immaginare ai nostri cittadini, di essere fermati ma semplicemente di essere gestiti in maniera sostenibile dal nostro Paese e dal contesto europeo. Uno dei primi punti di caduta che possiamo lamentare verso l’Europa è che, pur avendo fatto importanti passi in avanti, si è limitata a regolare il tema dell’asilo e della protezione internazionale senza invece avere la forza politica di occuparsi in senso più ampio del tema migrazione.
Dunque la debolezza della normativa internazionale e l’assenza di istituzioni che ne assicurino il rispetto schiacciano troppo spesso i migranti nella morsa contrapposta degli interessi dei paesi di origine e quelli di destinazione. Il cosiddetto approccio globale tanto declamato negli anni passati nelle politiche migratorie dell’Unione Europea è solo un piccolo passo con scarsi risultati e non tocca in nessun modo un’altra fondamentale questione che è quella delle politiche di ammissione legali sia di coloro in bisogno di protezione che di coloro che cercano migliori prospettive economiche.
Anche nel nostro paese, troppo spesso la necessità del consenso elettorale si è impadronita e ha condizionato scelte non sempre funzionali all’interesse italiano; né sono state finalizzate al negoziato onesto da portare avanti con fermezza per una politica concreta e di lungo termine sul tema dell’accoglienza e dell’inclusione sociale.
E allora sul tema degli sbarchi molti di noi hanno salutato con sollievo l’inutile quanto farsesca operazione dei porti chiusi apprezzando invece lo sforzo di costruire con chi ci sta, ed in particolare Francia, Germania e Malta, un’intesa sulla redistribuzione. Questa è certamente la strada su cui aggregare la posizione di altri paesi penalizzando in maniera concreta coloro che non sono disponibili a portare avanti una solidarietà tra tutti e 27. Sarà un percorso lungo, complesso; il negoziato rimane però l’unica strada credibile per gestire il nostro rapporto con altri continenti dove diseguaglianze, disastri ambientali, condizioni ai limiti della sopravvivenza spingono le persone a cercare una speranza di futuro mettendo a rischio la propria vita e spesso perdendola.
Su questo tema ho detto anche in altre occasioni che condivido pienamente la necessità di conferma del memorandum con la Libia pur chiedendo profondi cambiamenti soprattutto a garanzia dei diritti delle persone che transitano in quel paese e trasparenza nei comportamenti delle istituzioni dell’unico governo riconosciuto internazionalmente che è quello di Tripoli. Ciò tuttavia rende indispensabile, per non limitarsi a salvarsi l’anima con condanne puramente ideologiche che non ci portano da nessuna parte, assumere decisioni concrete e strutturate oltre che un’azione politica costante ed intensa verso i paesi del Nord Africa.
Svuotare le strutture di detenzione con canali umanitari certificati dall’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati non è una sfida particolarmente complessa se, come ci dice l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati, in questa condizione si contano circa 6 mila persone. Ma c’è anche un contesto di persone prive di qualsiasi servizio e sostanzialmente allo sbando che magari non avevano nessuna intenzione di venire in Europa e la cui vita è stata segnata dalla guerra civile ormai in atto in quel paese.
La stabilità del Paese libico e la presenza di istituzioni e standard di vita civili ed accettabili è una priorità a cui l’Italia e l’Europa stessa non può sottrarsi. Non possiamo permetterci che Paesi esterni all’Unione giochino la loro partita di influenza geopolitica in territori così vicini a noi e così strategici per la nostra sicurezza.
Quindi, canali umanitari che abbiamo già avviato nel 2017 ma che vanno strutturati stabilmente come misure alternative e complementari, finanziamento di progetti di comunità locali che a suo tempo erano stati presentati e che non so che fine hanno fatto, e soprattutto un’intensa, costante tessitura di rapporti politici con tutti i paesi del Nord Africa. Un’attività politica che aveva preso avvio su iniziativa italiana con il formato del gruppo del Mediterraneo centrale e che pure mi sembra liquefatto negli ultimi due anni.
Credo sia necessaria una riflessione seria anche sulle contropartite che da tempo alcuni paesi europei ci chiedono e che sono costituite dalla cosiddetta lista dei paesi sicuri e dalle procedure accelerate. Premesso che non è un obbligo previsto da una norma europea non è un caso che non vi avevamo mai aderito.
Indipendentemente dalla mia personale opinione sulla rispondenza di questa scelta ai nostri valori, peraltro chiaramente indicati nell’art.10 della Costituzione, vorrei si riflettesse sul rischio, mi domando: chi rimanderebbe nel paese di origine le persone che sbarcano a Lampedusa, a Pozzallo, ad Augusta? ; Con quale meccanismo? E in quali tempi? ; mi domando anche come si possa impedire a queste persone di rivolgersi legittimamente ad un giudice in presenza di una affrettata decisione della Commissione Territoriale?. Alla fine, dove potremmo ospitare le persone che non hanno diritto secondo la cosiddetta procedura accelerata tenuto conto che, credo non può essere loro consentito di allontanarsi, altrimenti abbiamo perso solo tempo.
Il tema che mi era stato affidato però era quello del ruolo delle prefetture, e la prima considerazione, che mi viene in mente, avviandomi a trattarlo, è la distorsione comunicativa che ha fatto di un’azione onerosa e difficile del nostro paese negli anni 2014, 2015, 2016, una colpa invece che un motivo di orgoglio.
Certamente, come provato, ci sono stati comportamenti fortemente censurabili, anche sul piano penale, ma alcune vicende di cronaca nulla tolgono al merito del nostro paese non solo di aver risposto in maniera civile ad una forte pressione migratoria ma soprattutto di aver avviato una infrastruttura dell’accoglienza che era sempre mancata. L’equa distribuzione nelle singole regioni italiane, l’accordo interno Anci sull’accoglienza diffusa e numeri proporzionati per singolo comune, il rilancio e la riqualificazione delle Commissioni Territoriali sono i pilastri sui quali si era, per la prima volta, costruita una politica dell’accoglienza non improvvisata attraverso il ricorso alla legislazione di protezione civile (Legge 225).
Ma bando ad ogni polemica c’è solo da considerare che negli ultimi due anni c’è stato sostanzialmente un ritorno al passato.
Viene quasi da considerare che la persistenza di un conflitto mascherato da percezione di insicurezza dei cittadini sia funzionale al dibattito politico e al risultato elettorale atteso. Non voglio andare oltre.
Su tutto questo hanno avuto un ruolo strategico notizie false, un utilizzo fortemente strutturato dei social e una manipolazione, talvolta anche in buona fede, della comunicazione.
Ma ora che i dati certificano, a dispetto di qualsiasi alchimia, che siamo in presenza di arrivi in numeri assolutamente modesti e non paragonabili nemmeno a quelli del primo decennio degli anni Duemila, credo che sia ragionevole porsi il problema di dare risposte adeguate e credibili alle esigenze del paese, alla sua coesione sociale, alle sue necessità in tema di sviluppo economico.
Prendo atto della prioritaria necessità di dare una risposta alle indicazioni date dal Capo dello Stato con la nota lettera di accompagnamento alla firma del Decreto Sicurezza Bis. E tuttavia questo non può bastare perché i danni profondi nascono dalle scelte fatte dal primo Decreto Sicurezza.
Non si tratta di essere buoni o cattivi, come viene talvolta infantilmente rinfacciato nel dibattito politico; l’auspicio è invece di un approccio ragionevole e non emotivo a tutta la politica dell’immigrazione per ritrovare il coraggio politico di affrontare il tema nella sue tre diverse dimensioni:
- Dimensione politico-culturale
- La questione migratoria e la discussione delle politiche che la governano va sottratta ai preconcetti ideologici e affrontata nella piena consapevolezza dei vantaggi e dei costi che essa genera.
- Vantaggi e svantaggi delle migrazioni vanno governati per aumentare i primi e attenuare i secondi per far sì che il risultato rappresenti una somma positiva.
- La migrazione deve sostenere la crescita della società mantenendone la coesione rifiutando criteri discriminatori basati sull’etnia, genere, la religione e gli orientamenti sessuali.
- Ogni azione di governo deve svolgersi nel pieno rispetto della dignità, dei diritti, delle libertà delle persone, delle regole di convivenza affermate nella nostra Carta Costituzionale.
- La riflessione e l’azione politica deve ispirarsi a obiettivi di lungo periodo sottraendosi a considerazioni meramente congiunturali.
- Sviluppare attività di cooperazione con i Paesi di origine e transito per una reale gestione delle migrazioni.
- Dimensione normativa
- Abolizione del reato di immigrazione clandestina che ha dimostrato tutta la sua inefficacia nel governo degli arrivi limitandosi ad appesantire una inutile attività della polizia giudiziaria.
- Superamento della Turco-Napolitano e della Bossi-Fini; vanno costruiti nuovi percorsi di ingresso ordinari, regolari e stabili.
- Un rilancio ragionato dell’istituto dello sponsor che rappresenti un’opportunità di ingresso ordinario come strumento per ricerca lavoro e di incontro tra offerta e condizione del mercato.
- Una nuova flessibilità che copra il vuoto determinato dall’abolizione della protezione umanitaria consentendo “caso per caso” il recupero di quelle situazioni positive non inquadrabili nelle regole europee e di Ginevra.
- Implementazione dei canali umanitari in stretta collaborazione con le Agenzie delle Nazioni Unite UNHCR e OIM per l’ingresso legale di persone in condizioni di ottenere la protezione internazionale.
- Semplificazione dei percorsi per il ricongiungimento familiare oggi resi vischiosi da regole troppo macchinose.
- Riforma della cittadinanza come elemento di partecipazione e di inclusione dei cittadini lungo-soggiornanti presso di noi.
- Nuovo protocollo di intesa e di regole condivise tra Stato e società civile impegnata nel salvataggio e nell’accoglienza dei migranti.
- Dimensione amministrativa
- Il ripristino dei servizi nelle strutture di prima accoglienza e implementazione dei servizi SPRAR.
- Iscrizione anagrafica per tutti i richiedenti asilo.
- Allineamento dei codici previsti dal documento provvisorio per consentire la regolare iscrizione ad Istituti di previdenza sociale, sicurezza sul lavoro e sanitari.
- Implementazione dell’acquisizione della lingua italiana per tutti soggiornanti a qualsiasi titolo nel nostro Paese.
Istituzione del servizio civile obbligatorio per tutti i soggiornanti nel nostro Paese di età inferiore ai 28 anni.
La lungimiranza e la capacità di governo di istituzioni seriamente preoccupate del bene del proprio paese dovrebbero sostenere programmi che facciano dei minori non accompagnati una leva di sviluppo economico e sociale e non un peso da contenere.
I minori sono una ricchezza se sono messi nelle condizioni di fornire un adeguato contributo al Pese che li accoglie e che ha il dovere di permettere loro l’inserimento scolastico, percorsi di conoscenza e di formazione, opportunità di essere concretamente parte della nostra società civile. E tutto questo, attraverso la presa in carico ed un ruolo aperto e intelligente dei comuni, la disponibilità e la generosità dei tutori, anche volontari, che abbiano competenza e terzietà, e un sistema di accoglienza che ha fatto importanti passi in avanti attraverso la legge n.47 del 2017 che porta il nome del Sottosegretario che questa mattina ci onora della sua presenza.
di Mario Morcone
Direttore del CIR